"Nulla si può definire solo un sogno.
Dire solo un sogno è una sciocchezza come dire solo una realtà, perchè un piccolo principe Poffer vive ugualmente sia nel mondo dei sogni sia nel paese reale da cui proviene."
kristoferpoffer {at} gmail.com
Dire solo un sogno è una sciocchezza come dire solo una realtà, perchè un piccolo principe Poffer vive ugualmente sia nel mondo dei sogni sia nel paese reale da cui proviene."
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Titoli
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- Addio
- Ai miei tempi
- Al pronto soccorso
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Minimei
la prima volta che aprii all'improvviso il cassetto del comodino senza lasciare che si organizzassero per nascondersi, li vidi. erano dei nanetti alti all'incirca come una moneta da 2 euro. erano tanti, molti di più di quelli che avrei mai pensato potessero starci. appena li vidi ebbi dapprima un dejavuu, avevo già vissuto una situazione del genere.ci pensai. probabilmente era perchè avevo visto accadere qualcosa di simile in un film, credo in man in black quando qualcuno apre l'armadieto alla stazione e ci trova un mondo in miniatura. non ebbi nemmeno il tempo di stupirmi, insomma, che già loro si stavano organizzando per nascondersi dietro ogni cosa che trovavano in quel cassetto stracolmo di cianfrusaglie. e solo chi ha provato a venire in camera mia può immaginarsi di quanti candidabili oggetti kitsch-barra-nascondigli degli esseri minuscoli come quelli possano trovare in un mio cassetto.
subito dopo aver sbattuto gli occhi più volte per capire se stessi solamente immaginandomi una cosa assurda, ne vidi uno, uno solo. doveva essere un ritardatario; arrancava lento, e alle otto del mattino era forse ancora un po' stordito, come se dovesse ancora smaltire la sbornia della festa della sera precedente. lo presi delicatamente con la punta delle dita e lo alzai per osservarlo. indossava degli abiti che doveva essersi ricavato dalla custodia di un mio vecchio cellulare : lo intuii immediatamente forse per il fatto che il vestito verde che portava aveva una sgargiante scritta "ericcsson" sul petto. aveva dei lunghi capelli arancioni e come nello stile più classico di un troll norvegese, naturalmente li portava in piedi, come fosse la fiamma di una candela. doveva essere la loro moda, pensai.
sul faccino che mi guardava con aria di sfida, non più grande del tasto di un telecomando, aveva un naso luminescente che pulsava forse a seconda del proprio stato d'animo, ed in quel momento lampeggiava a più non posso, indicando probabilmente che era o molto spaventato o molto arrabbiato.
provai allora ad appoggiarlo sul piano sgombro del comodino; non prima però di avergli intimato la calma mostrandogli distintamente che con l'altra mano impugnavo una bella palettina schiacciamosche, di plastica pesante e certamente letale, se usata a dovere. il nasino iniziò a lampeggiare di calma e ragionevolezza.
si sedette immediatamente sul bordo, con i piedi a penzoloni, come se fosse routine per lui essere interrogato in quel modo. evidentemente, già anche per come era conciato, intuivo dovesse essere un tipo molto particolare anche rispetto a quelli della sua specie.lo interrogai, gli feci capire come stavano le cose e chi, date le circostanze, aveva il coltello dalla parte del manico; lo minacciai di sigillare il cassetto e gli proposi un patto che non poteva rifiutare. saggiamente accettò ed iniziò a collaborare. mi raccontò, tutto.
subito dopo aver sbattuto gli occhi più volte per capire se stessi solamente immaginandomi una cosa assurda, ne vidi uno, uno solo. doveva essere un ritardatario; arrancava lento, e alle otto del mattino era forse ancora un po' stordito, come se dovesse ancora smaltire la sbornia della festa della sera precedente. lo presi delicatamente con la punta delle dita e lo alzai per osservarlo. indossava degli abiti che doveva essersi ricavato dalla custodia di un mio vecchio cellulare : lo intuii immediatamente forse per il fatto che il vestito verde che portava aveva una sgargiante scritta "ericcsson" sul petto. aveva dei lunghi capelli arancioni e come nello stile più classico di un troll norvegese, naturalmente li portava in piedi, come fosse la fiamma di una candela. doveva essere la loro moda, pensai.
sul faccino che mi guardava con aria di sfida, non più grande del tasto di un telecomando, aveva un naso luminescente che pulsava forse a seconda del proprio stato d'animo, ed in quel momento lampeggiava a più non posso, indicando probabilmente che era o molto spaventato o molto arrabbiato.
provai allora ad appoggiarlo sul piano sgombro del comodino; non prima però di avergli intimato la calma mostrandogli distintamente che con l'altra mano impugnavo una bella palettina schiacciamosche, di plastica pesante e certamente letale, se usata a dovere. il nasino iniziò a lampeggiare di calma e ragionevolezza.
si sedette immediatamente sul bordo, con i piedi a penzoloni, come se fosse routine per lui essere interrogato in quel modo. evidentemente, già anche per come era conciato, intuivo dovesse essere un tipo molto particolare anche rispetto a quelli della sua specie.lo interrogai, gli feci capire come stavano le cose e chi, date le circostanze, aveva il coltello dalla parte del manico; lo minacciai di sigillare il cassetto e gli proposi un patto che non poteva rifiutare. saggiamente accettò ed iniziò a collaborare. mi raccontò, tutto.
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1 commenti:
ciao è molto divertente il racconto dei minimei è quello che mi è piaciuto di più di tutti gli altri ciao mirko
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