"Nulla si può definire solo un sogno.
Dire solo un sogno è una sciocchezza come dire solo una realtà, perchè un piccolo principe Poffer vive ugualmente sia nel mondo dei sogni sia nel paese reale da cui proviene."

kristoferpoffer {at} gmail.com

Titoli

Furto di identità

tutta un’altra persona, omonimia presumo: il nome lo stesso, l’accento pure da quanto si intuisce leggendo.

mi han detto che c’è qualcuno che si spaccia per me, scrive lui, si firma pure il narciso. usa nome e cognome, i miei, come se fossero suoi, come se non ne esistessero altri da farsene scegliere alla nascita. 

esibisce strutture grammaticali bizzarre, barocche, tardo barocche; appartenente a tempi passati desumo. mi dicono che fosse da tempo ritirato a vita privata, uno scrittore indaffarato a non scrivere, ad attendere il momento giusto per tornare quando il suo nome usurpato fosse tornato in auge grazie a qualcun altro. a qualcun altro me, grazie tante. 

occupato come sono, non perderò tempo a rincorrerlo, a lamentarmene, a sbeffeggiarlo pubblicamente, quasi a sembrare che me ne importi poi molto. lo denuncerò piuttosto, in silenzio, anonimamente alle forze dell’ordine, per furto di identitá.

Issimo

mi vedo bene, si si, molto bene. mi vedo benissimo, sono in gran forma e mi vedo da dio. piú mi guardo e meglio mi vedo; mi fisso e mi compiaccio. ma come sono bello, mi dico. e lo dico perché lo penso, sono sincero e non mento. quando ho da far dei complimenti li faccio, non faccio complimenti per farne. mi sento bene poi, si vede direi. e si, si sono calmo. calmissimo, fermo, fisso, fississimissimo. guardo fisso la bottiglia, la bottiglia vuota, e però le prometto di non farlo mai più. più, piùissimo.

Il Cantante

é un ritmo vero, non c'é dubbio. é un flebile allegro motivetto sensato e costante quello che arriva fin qui; e qui è buio e si sa che nel buio i rumori si sentono di più. il problema é che nel notturno sonnecchiare non ci dovrebbero essere rumori ritmati e prolungati, specie che arrivino da lì dove l'unica cosa che ne potrebbe provenire sarebbe al massimo uno sgranocchìo di croccantini appetitosi o tutt'al più una felpata linguata fragorosa a se stesso medesimo. sua maestà felina il gatto, invece, stasera canticchia, tiene il tempo, s'affusola e si compiace, lo sento che si compiace. a ritmo wagneriano di valchiria memoria irrompe nel suono magnifico del silenzio fatato. io dormo, e modestamente é un'attività che svolgo con la massima professionalitá. io dormo e quando dormo non tollero stravaganze, nessun tipo di eccezioni. l'audizione canora del gatto termina qui, lo terremo sicuramente in considerazione per il prossimo talent show quadrupede. la luce del freezer, che intanto pronta si schiude, fa breccia nella sua curiosità. accidentalmente serrata alle sue spalle, la leggenda di un gatto nobile cantore si congela così nelle nostre memorie. fu per tutti esempio di genio e creatività.

Brioche

lo capisci dalle brioches. é dai croissant, dalle crostatine e dai buondí che prendi consapevolezza dell'alternarsi delle stagioni. fai la tua mossa, le addenti, e prima ancora di gustarle, di masticare, di passare oltre, le osservi. aspetti la reazione, attendi che il cioccolato si mostri, affermi, sancisca che l'estate è finita. in questi casi il cuore della brioche sta, apoplettico, immutevole, giace.
è a fine settembre che la merenda muore; di lei rimane la plastica figura della sua fluente vitalitá primaverile, dell'appiccicaticcia spavalderia estiva. per tutto inverno aprire l'incarto dei buondí non riserverà sorprese, le crostatine saranno un pavé armonico e asfaltato, e i croissant mummie silenti d'un infarto al cioccolato.
l'alternarsi delle stagioni lo capisci dalla fermezza di quello scorre dentro, dalla morbidezza, dalla stabilità del ripieno. guardandoci dentro sono i pensieri di una brioche quelli che osservi, ma queste, in fondo, sono cose che un biscotto non potrá mai capire.

Damnatio Memoriae

se lo mangio scompare, via, se ne va come se non fosse più un problema, come se non lo fosse mai stato.
mangio, non mastico ma deglutisco come se questi broccoletti fossero affar d'altri, come non li avessi mai incontrati, come potessi evitargli d'esser mai esistiti. divoro, trangugio, incasso broccoletti di bruxelles, rape, fegatini a pieni bocconi; lungi dall'assaporarli, li faccio sparire non appena mi si parano davanti. sono diventato così bravo nello  sbarazzarmene che li fiuto a metri di distanza, li cerco, li localizzo e li stano come se non fossi mai stato addestrato ad altra funzione. così nell'intimo li repello che nessuno sfugge. così nel profondo li detesto che mai nessuno ha speranza di sottrarsi all'oblio che la mia vendetta gl'impone.
manciate di fegatini, rape e cavolini sembrano disseminati ovunque; al supermercato ne hanno quantità industriali; fruttivendolo e macellaio me li tengono da parte.
ogni volta che mastico è per vendetta, per sfogar su di loro la bile, per infierire su di loro indigesti. non mastico ma inghiotto, non ghiotto ma vendicativo. sono determinanto e non mangio, altro. non mangio altro da mesi.

Gelato

mangio un gelato, un gelato a pieni bocconi congelanti; tanto gelato da sentirlo in mezzo al cervello in tutta la sua portentosa cristallina glacialità. mangio un gelato stecco, un bonsai di neve dolce potato a colpi di linguate avvolgenti. mangio una granita, marmellata di ghiaccioli appena sfornata, risucchiata come se me la stessero per rubare in metropolitana quando l'aria condizionata non va. mangio tutti questi souvenir d'un'era glaciale rimpianta e mi sento di nuovo speciale, mi sento babbo natale.

Perdilido


avviso ai bagnanti: la bimba sophy di 5 anni e mezzo, di nazionalitá tedesca, è in attesa della mamma al bagno 39.
la mattinata sulla spiaggia, a rimini, inizia così. segue traduzione del medesimo avviso in inglese, tedesco e francese.
qui, in uno dei bagni più grandi che abbia mai visto, nella giungla di ombrelloni a cavallo di tre fusi orari distinti, qui dove tra gli utenti dell'ultima fila solo si vocifera d'un mare che nessuno ha mai visto; ma forse un giorno, i figli, chissá.
avviso ai signori utenti, il piccolo ralph, 3 anni, costumino azzurro, è stato visto in zona torretta non più di un'ora fa. i genitori ringraziano chiunque fornirá indicazioni per il ritrovamento.
qui è il luogo della perdizione. si perde chiunque, a prescindere dall'integritá morale o dalla resistenza alle tentazioni. ci si incammina e ci si perde. la perdita del congiunto o del caro di turno è sancita dal pubblico avviso dello speaker.
gli smarriti sono trasversali alle generazioni e alle nazionalitá. in riviera, ottuagenari ulisse partiti per le sponde dell'adriatico mai più faranno ritorno all'ombrellone natìo. pochi, tra i più esperti,  questa sera varcheranno le porte del bagno di Nettuno. tutti, tra i bianchissimi bimbi normanni, rosoleranno sul sentiero sabbioso in cerca delle orme materne.
gli annunci riecheggiano per una seconda volta tra sechielli e palette, tra creme e riviste. il tono è calato, l'enfasi smorzata del bagnino prannuncia il destino dei piccoli.
il sole allo zenit impedisce che le ombre siano d'aiuto all'orientamento e i pini marittimi non hanno muschio ad indicare il nord al piccolo ralph. sophy è stata fortunata questa volta ma non sempre le storie hanno un lieto fine. per lei, soli cinque anni e mezzo, questa sera si apriranno le porte di una nuova casa. in ultimo cambierá nome; benvenuta piccola ralph.

Neologismi

quando sei nel nulla, a mille mila chilometri dal resto, solo acqua tutt'intorno, solo acqua e aria se sei sull'ennesimo aereo per chissà dove; quando sei così distante da tutto ciò ch'è stato finora, in quei momenti lì, ti viene voglia di scrivere. il problema, l'unico neo di tutto il quadro bucolico, di questa vena creativa, di questa suggestione poetica, è che tu, in mezzo al mare, qualcosa di preciso da dire proprio non ce l'hai.
mi sento artista inespresso allora, poeta silente, animo incompreso e inascoltato figlio di un'epoca buia e regretta. ne avrei di cose da scrivere, non pensate, di moti interiori da esplicare, di temi da svolgere, credete. è che sembrano inafferrabili da questa parte del mondo, sembrano passati lontani, sembra che non esistano parole abbastanza rivoluzionarie per rendere la differenza con quello detto fin qui.
quando sei da solo in mezzo al nulla basterebbe inventarsi una parola nuova e invece, invece sono qui che scribulgo di pastaffi, e questo, infondo, rende comunque l'idea.

Scripta Volant

poi si torna qui, a scrivere, a fare i conti con punteggiatura e parole che sembrano generarsi dal silenzio di un giudice terzo. il verdetto si compone a mezzo di mani prestate alla coscienza; gli occhi, lasciati liberi di leggere dall'abile autonomo tamburellare, seguono impazienti il cursore che semina lettere amare. è qui che si torna a cercare risposte, a tirare le somme, a prendersela ed infierire su se stessi. si torna a specchiarsi nella pagina bianca di un foglio, attendendo che la tastiera componga ciò che i pensieri non hanno il coraggio di rimproverarsi. é qui che si lasciano tracce di ogni ripromessa di non farlo mai più.

Coltre di sfida

banale, toh, banale; lo diceva a me. a me che mi son sempre battuto contro; a me che ho fatto di tutto per evitarlo, per smarcarmi, per trovare un'alternativa. volevo essere originale, artistico, unico; ed invece, invece nel bel mezzo della mia apoteosi creativa lei mi respingeva per l'esatto opposto. non è bastato fare yoga o togliere il sale ai creakers, mangiare soia e rinnegare la nutella. non è bastato il lifting mentale per adeguarsi alle sue passioni, manie, fisse, paturnie. neppure l'ipocrisia del platonico amore é valsa a nulla. troppo perbene mi ha detto, troppo affidabile, premuroso, 'incline al perdono' credo abbia azzardato. le avrei urlato stronza! ma gliel'avrei data vinta, non aspettava altro, lo prevedeva, lo pregustava, se lo sentiva che avrei reagito, che mi sarei piegato. in ultimo mi ha tirato uno schiaffo e poi c'é stato il gelo. gelida neve spalmata sul volto da un guanto rosina che sapeva di sfida. lei scappava, codarda, calcando le orme per non scappare davvero.

Un colpo

picchio la testa, mi ritrovo a terra. mi ritrovo a terra dopo aver ricevuto un colpo in testa, inciampato forse, aggredito credo. la ragnatela calda di dolore dalla nuca mi arriva presto sul volto, e allora il sapore del terriccio sabbioso si fa umido, colloso. il primo respiro dopo la caduta graffia aria troppo pesante da trattenere e la respirazione si fa superficiale, veloce, veloce solo perchè serve ma la eviterei volentieri altrimenti. riaprire le palpebre non porta a nulla d'immediato, nessun fascio di luce, nessun figura distinta che si stagli a dare un significato. con una flessione cerco d'allontare il terreno ma al ritmo dei miei colpi di reni vengo battuto con costanza dalla gravità che infierisce.
rotolando guadagno il fianco e poi mi lascio cadere supino. il collo torcendosi riporta la vista ad un cielo stellato che stanotte sembra compiacersi del suo vantaggio d'immortalità, mentre io; beh, mentre io steso inerme sono ben lontano dai pensieri di solo qualche attimo prima.
camminavo, questo lo ricordo, camminavo pensando, come capita spesso. pensavo nè più nè  meno che al futuro e come avviene discorrendo tra se e se, il pensiero non seguiva un vero e proprio filo logico; nessuna causa-effetto, nessuna consecutio temporum eloquente. pensavo ad un'idea generica, ad un obiettivo, ad un risultato piuttosto che ad un mezzo. il cielo stellato si prestava alla hýbris d'un uomo felice, sembrava portare consiglio, fiducia, confidenza, ed invece..
ed invece ora mi mi trovavo abbattuto da un colpo, obbligato a prostrarmi ad un infinito di cui non conoscevo che il nome, redarguito per il tramite di squarci celesti pugnalati sul velo della notte che avevo creduto mia complice.

La felicità

questa idea ci ha messo molto più delle altre per venire a galla, molto più tempo delle altre idee a farsi spazio in mezzo al groviglio di pensieri che, da quando ne ho memoria, ha sempre riempito al colmo ogni più remoto angolino della mia testa. l'idea è la seguente e, badate, è venuta a galla ma non posso ancora definirla matura, è un abbozzo diciamo, una copia di brutta, un appunto, si ecco, è un appunto da tenere a mente nella pianificazione di altre idee. questa, la constatazione, l'idea, è la felicità. idea originale, direte voi, bravo, complimenti kristofer, gran bella invenzione. e invece no, alla felicità in quanto invenzione, se permettete, io, io non ci avevo mai pensato, mai prima di aver formulato questa profondissima tesi di cui a seguire. il teorema ha oltretutto un diretto e fondamentale corollario che mi permetterà di farmi capire meglio, ovvero, la felicità è una scelta. pur ammettendo che nel mio cervello suonava decisamente meglio di quanto non appaia scritta giù qui in mezzo a tante altre parole, pur cedendo sul fatto che siate legittimati a non apprezzare direttamente l'importanza di questo concentrato di acume, sappiate, e lo dico dall'umile posizione di chi si rende conto d'aver finalmente dato una risposta all'annosa domanda di quale sia il senso della vita, sappiate che non è da tutti coglierne il significato profondo ad una prima rapida occhiata. detto ciò mi accingo brevemente ad illustrarvi il perchè. ecco, perchè, vi chiederete voi; beh perchè, dicevo, penso che se non siete felici la colpa è solo vostra. detta così forse non ho aggiunto niente di profondamente esplicativo in grado di farvi comprendere appieno il senso del tutto, eppure, credetemi, eppure tanto basta. appurato che potete, possiamo, tutti possono, predisporsi alla felicità qualsiasi sia lo stato materiale delle cose e degli eventi, la felicitá è una scelta che bisogna avere il coraggio di compiere per essere felici. non vorrei a questo punto obbligarvi alla scelta della felicità attraverso un formativo materialismo cosmico, sebbene a me paia molto realista, che sottolinea come la probabilità di essere qui a leggere abbia già dovuto scontrarsi, e vincere, contro eventi probabilistici preceduti da innumerevoli zeri, rendendo tutti noi già molto più fortunati di quanto abbiamo, e avremo, avuto il tempo di meritare. in seconda battuta pare opportuno evidenziare la pessima alternativa di aspettare che qualcun'altro compia la scelta in nostra vece accontentandosi della speranza che tutti i travagli finiranno in tempi remoti e trapassati; al pari di quanto vorrebbero la maggior parte degli inflazionati dogmi mono e politeisti in gran voga tra accidiosi e remissivi negli ultimi millenni. la felicità insomma è una scelta, un'invenzione, di gran lunga la migliore ch'esista; sappiate farne buon uso e dosarla a piacere.

L'ultimo baluardo

qui, da questa parte del mondo, qui c'é una pacata rilassatezza. su queste terre il nervosismo non é mai approdato e la tensione si manifesta solo attraverso i fulmini all'orizzonte, chiaro segno che l'astio possa qui riversare solo un flebile e attenuato riverbero. in queste strade, persino nel traffico piú stagnante, vige un codice fiabesco di rispetto reciproco e incondizionato; cosí dall'alba dei tempi, cosí fino a questo pomeriggio.
il bus jingolava come al solito su per le verdi radure, percorrendo un nastro di strada che avrebbe tranquillamente potuto essere rosa confetto tanta era la gioia che sembrava infondere al conducente. lui vestiva l'uniforme ufficiale con una camicia a fantasia floreale, i pantaloni a pendant (slacciati confortevolmente in vita) e delle infradito spolverate con forfora d'angeli. il quadretto mostrava il ritratto dell'aloha spirit, un misto tra lo stereotipato fancazzismo italico e la contagiosa serenità delle nonne. non mancava nulla perché un animo sensibile potesse sciogliersi in un lacrimoso piagnucolare estasiato, ammirando l'arcobaleno che fasciava la valle.
all'improvviso però, dal nulla, tutto d'un botto, ho assistito al capicollare degli eventi. un innocuo semaforo, uno dei tanti che qui sembravano partecipare, a mò di luci colorate, al dilagante ottimismo cosmico, ad un tratto diede il segnale. alla macchina che ci precedeva, tuttavia, tale via libera non sembrava offrire motivo sufficiente per schiodarsi. capita spesso da queste parti; il caldo, il canto degli uccellini, l'ipnotica luce riflessa dall'oceano all'orizzonte; capita spesso che il conducente si addormenti. tutte le volte che questo accade un cortese automobilista scende e quasi dispiacendosene invita con la massima delicatezza il suo prossimo a destarsi dal piacevole abbraccio di Morfeo. così fan tutti; sempre.
anche oggi, considerando le circostanze, il volenteroso autista stava per scendere ad avvisare il malcapitato. capitò tuttavia che la camicia di-fiori-munita s'appigliasse alla leva del clacson; questi proruppe in un suono inaudito, e tutti, per incantesimo infranto, sembrarono improvvisamente prendere coscienza d'essere parte di questo mondo.
il cianciare sommesso si convertì gradatamente, prima in un brusio interdetto, e poi in un dettagliato imprecare ai santi più esotici. l'intera viabilità accolse con entusiasmo la scoperta del clacson e in men che non si dica s'accorò al sordo strombazzare del nostro autista, il quale, ormai preda di tensioni demoniache, stava anche cercando di tamponare il lemme vecchietto addormentato.
tutto si svolse tanto rapidamente che una signora asiatica s'alzò all'improvviso; il bimbo che portava in grembo vomitò addosso ad un nerboruto giovane appisolato. questi aprendo gli occhi di riflesso estrasse un coltello che gli cadde sull'alluce non appena l'urlo degli astanti fece loro realizzare una potenziale situazione di pericolo. di lì in seguito lo zampillare orrorifico di sangue e un crescente panico collettivo fecero si che la marmaglia, tirati i freni d'emergenza, cercasse libero sfogo nelle desolate lande pluviali circostanti. una cinquantina di redivivi esaltatati si disperse così in un memorabile pomeriggio d'autunno. l'occidente aveva conquistato anche l'ultimo baluardo del paradiso terrestre.

Le patatine

questione di patatine; non so se l'avete mai notato ma é questione di patatine se i fastfood hanno un così grande successo. i loro allegri bastoncini gialli non invecchiano, questo é il segreto. non deperiscono, non marciscono, non anneriscono nemmeno a dimenticarsi di loro per settimane. ne ho appena trovata una porzione tra la seduta e lo schienale del divano, avreste dovuto vederli in tutta la loro tubera magnificenza dopo settimane di oblìo. gli orfanelli croccanti sembrano sovrastare ogni dettame epicureo, ogni ineluttabile legge di natura. la prima buona impressione riesce persino a passare il vaglio di una più attenta analisi quindi alla fine li assaggi. sono solo di un poco più resistenti al tatto e al gusto conservano tutta la loro vivida essenza; essenza di plastica. ci piace la plastica, è per questo che mangiucchiamo le bic.
stavolta parto sul serio, non per sempre, giusto un po'. stavolta vado lontano, vado di là, dall'altra parte del mondo. è strano pensare che se solo andassi un poco più in lá mi avvicinerei. questo perchè la terra è rotonda e se anche nella vita di tutti i giorni sembra una cosa da poco, sembra un'informazione abbastanza inutile, quando parti devi tenerlo a mente perchè se fai troppa strada prima o poi torni nello stesso punto.
stavolta parto ma non scappo, non ce n'è bisogno e comunque sarebbe impossibile farlo perchè la terra oltre ad essere tonda è pure piccina picciò.

Lei

non fà ancora molto freddo, non lo farà ancora per qualche tempo. l'estate comunque è finita, questo è assodato, se ne sono fatti una ragione tutti, ormai.
lei, passate le vacanze, fa sempre due conti, tira le somme, l'esame di coscienza di settembre. immancabilmente in questa occasione, vuoi perché l'abitudine del calendario scolastico ancora non se ne è andata, vuoi perché sono le foglie che cadono a farle intuire che un altro ciclo si sta chiudendo, in questa occasione finisce sempre per riepilogare un anno intero, che lo voglia o meno.
quest'anno, aggiunge, ha pure un 'che' di speciale; sembra lontanissimo il settembre scorso, sembra passata una vita intera d'allora.
cambiamenti ce ne sono stati, molti. impegno profuso: adeguato, sorprendente soprattutto la tenacia, la convinzione che ha riversato nelle proprie scelte, testardaggine direbbero in molti. la soddisfazione questa volta se l'è proprio meritata ed ora deve solo rivoltarsi di nuovo le maniche, perché la vita è strana, è complicata e questo lo ha capito, ed è anche parecchio stancante. però, e stavolta c'è un però grande come una casa, però se ha saputo regalarle anche un anno del genere, tutto sommato, non può che essere anche semplicemente fantastica. lei, io credo, fa bene a pensarla così.
ehi, che c'è?
no niente
su dai, non fare così
è che mi vergogno
e di cosa dovresti vergognarti?
sono nero
ma sei bellissimo nero

La mia inghilterra

la mia inghilterra non é solo pioggia e non é soltanto neppure il big ben, la regina o buckingham palace. la mia inghilterra é quella parte di autunno alle porte, é la prima foglia anticonformista che decide di cadere, in barba alle buone abitudini, al bel pensiero e all'autocontrollo. qui nell'aria della mia londra c'é l'umidità che ti maschera le lacrime e il vento che non tarderà ad asciugarle. qui per strada incontri la tua buona occasione, come se avessi l'america a portata di mano. e nessuno criticherà le tue scelte, e nessuno ti punterà il dito contro. qui impari il concetto di libertà fino alle estreme conseguenze d'esser lasciato in balía delle tue emozioni. qui, nella mia inghilterra, la notte mi accompagna nel suo letto ed ogni mattina le lenzuola bianche disfatte sono pagine cancellate con forza, ancora una volta.

La prestinaia

avessi una moglie così sarei mica tranquillo. se io avessi una moglie come ce l'ha il panettiere non starei sveglio la notte. nemmeno lui lo fa, deve lavorare, dice, ma io rimango dell'idea che quella sia solo una scusa; quante preoccupazioni deve avere. io quando entro in negozio, non ce la faccio, davvero, non ce la faccio proprio a distogliere lo sguardo. uno ci rimane male la prima volta che la vede se non sa di quella sua caratteristica.
la moglie del panettiere fa la prestinaia dietro al bancone. per la vicinanza del forno, che di mattina riscalda le focacce, sembra avere sempre un gran caldo, e si veste di conseguenza. sopra ovviamente porta un grembiule bianco, classico, ma non serve a un granchè.
fosse una semplice bella donna ci si potrebbe fare l'abitudine ad esserci sposati, credo; penso che anche i clienti ci farebbero l'abitudine e smetterebbero di deconcentrarsi tra un ordine e il successivo. avesse solamente belle forme sinuose, una voce a tono e dei begli occhi, un cliente uomo che arriva si stupirebbe sì, ma poi saprebbe articolare un discorso valido per lasciarsi comprendere. un seno prosperoso che modella i vestiti probabilmente sortirebbe invidie femminili e infatuazioni maschili, ma nulla di trascendentale, s'intenda. i seni, si, due seni due, per quanto abbondanti, sarebbero tollerabili, non c'è dubbio; ma tre, tre cosi così messi lì a lasciarsi intendere sotto il grembiule ci metti un po' ad accettarli. io non ci dormo la notte, figurarsi il panettiere.

Il Poi

mi ricordo che quando avevo all'incirca ottant'anni ed ero lì lí per, beh ci siamo capiti, mi ricordo che in quegli ultimi giorni mi sentivo abbastanza in tensione. tensione si, non paura. mi sentivo come se da un giorno all'altro avessi dovuto sostenere un esame. fino a quel momento ero sempre stato scettico su quelle cose e d'altronde il mio modo di pensare non poteva prescindere da questo. fin lì ero stato portato sempre a ragionare in termini concreti, assoluti e documentabili; non avevo mai pensato in astratto io. eppure quei giorni, li ricordo benissimo, erano stati tremendamente fecondi di idee, idee fantasiose e creative. nel giro di qualche tempo avevo vagliato ogni prospettiva scientifico-religiosa esistente in materia e, devo ammettere, sembravan tutte ben costruite e fondate. ciò che mi infastidiva era soprattutto che c'era troppa scelta. troppa, veramente troppa confusione sul poi. dal canto mio non facevo preferenze, a me sarebbe bastata una qualsiasi prospettiva, anche non la migliore, l'importante era che fosse certa. paradiso o inferno non importava purché fosse uno soltanto dei due. non mi sembrava di chiedere poi molto e pensavo che una tale piccola certezza potesse essere concessa a chi aveva sulle spalle l'esperienza di quasi una decina di lustri di vita. e invece nulla, niente di niente, come se fosse normale far sí che una persona così rispettabile rimanesse in ansia fino alla fine.
e comunque, a differenza di quanto avrei creduto, non ero per nulla spaventato, solo un poco irritato per il tentennare degli eventi. poi arrivò il giorno fatidico, fatidico nel senso letterale del termine se mi consentite la battuta. è stato strano fare i conti col non esserci più; non so come spiegarvela quella sensazione. penso sia stato come quando ti si informicola un braccio sotto il cuscino e se provi a muovere le dita non succede niente. ecco, estendendo il concetto, è un po' come se ti si fosse informicolato il tutto. però non è solo una sensazione corporea; e non è neppure questo infondo: i profumi li senti ancora, i suoni allo stesso modo, le cose le vedi e i sapori li gusti. è che smetti di avere il mal di denti, il sudore, i cerchi alla testa. da quel giorno in poi lo stomaco non ti brucerà più ma la cosa più bella è che preoccupazioni del genere smetterai persino di averle. ecco si, è una sensazione di liberazione da tutti quei fastidi legati ai tuoi bisogni fisici; un senso di libertà totale come pensare di finire una scatola di cioccolatini senza pagarla con il mal di pancia; come spiccare un volo senza le vertigini o tuffarsi in un prato senza l'allergia.
quello che voglio arrivare a dire, comunque, è che credo che ben prima degli ottant'anni, tanto tempo prima di iniziare a porsi il problema del poi, credo che sarebbe una buona cosa quella di imparare a gustarsi i cioccolati sdraiati in un prato.

So

tutto ció che so di me è che mi chiamo kristofer. anzi no, neppure quello perchè non mi ricordo d'essermi mai scelto il nome. uno kristofer ci nasce o non ci nasce e questo è quanto. tutto ció che so di me si rifá alla corta memoria che mi è stata concessa. ho scoperto che in determinate occasioni reagisco in un certo modo e se le occasioni fossero sempre uguali potrei dire di conoscermi appieno, ma così non è. ogni giorno imparo che non mi conoscevo neanche un po'. oggi, ad esempio, ho scoperto d'aver predisposizione agli sport acquatici. sembra, dicono, sembra che io faccia molta meno fatica degli altri a galleggiare. l'istruttore mi ha detto, ma come galleggi bene, sembri un pesce. grazie, ho risposto mentre continuavo a pensare se fosse un complimento o meno. mi ha detto poi che una dote così grande andrebbe messa a frutto, allora sí che mi sarei tolto molte soddisfazioni con lo sport. e lui, ha aggiunto, è uno che ne sa.

In spiaggia

era un bambino un po' vivace, un po', molto vivace. era un bambino molto sveglio, intraprendente, attivo; un bambino solare, estroverso, espansivo. era un bambino di quelli che, per l'amor di dio, simpatico e tutto però in spiaggia non alzare la sabbia sennò ti strozzo.
domenica c'era un piccolo denti-dondolanti di questo tipo a vanificare le false promesse del bagno 'la quiete' ed io appena arrivato, adocchiando il soggetto, ho tenuto a metterlo preventivamente in guardia circa l'importanza ristoratrice del sonnellino che mi sarei concesso se la grazia di vucumprá, cocchibbelli e piccoli muratori in erba me l'avesse permesso. ciò detto l'ho invitato a stupirmi al mio spontaneo risveglio con un bel castello di sabbia, di quelli tanto più belli quanto più costruiti in ossequioso silenzio alle pennichelle altrui. il bimbo, sicuramente afferrato il senso profondo dell'intero discorso, si è limitato ad annuire e a sollevare le spalle.
nelle cocente canicola estiva il meritato riposo di tutti gli adulti presenti, di tutti i genitori, i nonni, gli zii, procedeva in un silenzio composto e perfetto, surreale persino. nel frattempo la scomposta marmaglia giocava con la sabbia.
l'esercito armato di palettine e secchielli, probabilmente esaltato per l'inaspettato affrancamento da regole e ordini, faceva tutto il necessario perché si mantenesse lo stato d'autogestione. per il fatto che, come noto, una semplice autodisciplina può laddove mille ordini falliscono, il pomeriggio calò in un sincronizzato scricchiolio d'arnesi, in una pace di silente operosità. colui che solo pochi istanti prima avevo rimbrottato si mise immediatamente alla direzione di una squadra di valenti amichetti proto-manovali e in un paio d'ore la fisionomia dell'intera spiaggia cambiò. il richiamo dell'incredibile opera edilizia convogliò manodopera inaspettatamente qualificata da ogni pista di biglie, da ogni semplice buca per l'acqua sul bagnasciuga; da ogni dove arrivarono a frotte per costruire il castello del secolo.
superate le dimensioni in altezza di un comune ombrellone e in larghezza di un piccolo chiosco, il monumentale cantiere improvvisato dai giovani artigiani della sabbia si preparava a sfornare un minaccioso agglomerato di torrette, torri e torrioni con tanto di ponte levatoio funzionante. nel frattempo noi, ignare menti adulte al riposo, venivamo cullati dall'innocente tranquillità sostenuta dalla brezza marina.
in un pomeriggio soltanto, l'escalation sociale accelerata dall'irrequietezza giovanile fece sì che il piccolo vicino d'ombrellone raggiungesse ben presto il vertice delle gerarchie inter pares e venisse nominato re assoluto e incontrastato della spiaggia. colui che solo poche ore prima faceva spallucce ai miei richiami all'ordine ora disponeva di un esercito di prodi pronti a tutto.
il silenzio d'un tratto si ruppe e al rullare di secchielli e rastrelli, appena aprii gli occhi, mi ritrovai circondato da un manipolo di assetati mercenari che in un farfugliare incerto mi imposero la consegna della borsa frigo con bibite e gelati. tutt'attorno acute e strillanti urla di giubilo proclamavano l'indipendenza, il successo della rivoluzione, la riuscita del colpo di stato dei costumini insabbiati.

Il giovedì

il giovedì succedeva che io all'asilo non ci volevo andare, la mamma allora si arrabbiava, io continuavo a non volerci andare e lei alla fine cedeva e mi portava al mercato, al mercato quello con la bancarella dei pesciolini rossi.
la scusa dei pesciolini é sempre stata la migliore: 'mammamisentosoloavreipropriobisognodiunamicofidato
concuipossaallietareilfreddoinvernodellamiadesolatacameretta, mi compri un pesciolino??' più o meno il mio irresistibile sguardo capriccioso diceva questo. ovviamente perché la scusa reggesse c'era la necessità che il suddetto amico branchiomunito ci lasciasse le squame di settimana in settimana. arrovellarsi a cinque anni per agevolare la sua dipartita credo che sia stata la parte migliore. la tecnica era questa. se entro il mercoledì seguente il soggetto x non sembrava risentire della dieta dimagrante allora bisognava attivarsi con più convinzione. devo dire che fuffi, il malefico gattino, era sempre disposto a condividere la mia giusta causa e nella peggiore delle ipotesi bastava lasciare a lui il via libera. la vaschetta del mio carissimo amichetto natante si trasformava allora in un divertentissimo luogo ricreativo. per gatti.
fuffi tuttavia, come dicevo poco fa, era solo l'ultima spiaggia e prima di lui il mare della cinica fantasia d'un cinquenne aveva libero sfogo. ora però è meglio non addentrarsi nei particolari che non vorrei rischiare di urtare la vostra sensibilità. mi rincuora comunque pensare che la causa di tutto ciò fosse indubbiamente nobile. io non li sopportavo proprio i cavoletti di bruxelles, dai, chi mai ha sopportato i cavoletti di bruxelles del giovedì.
adoro il trascorrere del tempo; sfoglio ricordi; mi nutro di particolari ricorrenti, ridontanti quanto basta perché si conservino intatti negli anni. mi piace il profumo del vissuto, quell'odore muschiato dell'esperienza, l'acerbo sapore della consapevolezza d'esser di nuovo pronti a rifare gli stessi sbagli. non ne ho ancora avuto abbastanza; non vedo in dirittura d'arrivo alcuna certezza eterna, nessuna fiacca soddisfazione che possa placare questa fame di tutto. non cerco e non avró un epilogo di circostanza, un 'vissero per sempre felici e contenti' che possa tarpare le ali alla creatività di ogni singolo bacio. 
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Albicocche

dentro, sotto questa parvenza di buono, sotto questa patina di altruismo, dentro sono egoista, egoista e pure un po' stronzo. l'ho scoperto da poco, mentre mi lavavo i denti, poco prima del secondo risciacquo, quando un pezzettino d'albicocca rimasto fra i molari ha esalato l'ultimo spiro di gusto. si scoprono un sacco di cose nei momenti più inopportuni, una volta é successo addirittura di entrare in uno di quei tunnel dell'autolavaggio e prima ancora che iniziasse il temporale a comando, mi capitò di scoprire d'avere l'intolleranza al glutine.
i brevissimi istanti prima di una scoperta, quella infinitesima particella di tempo prima dell'illuminazione ti fanno sentire un genio. ora non ricordo esattamente quando successe, sono passati tanti anni d'allora, ma non dimenticherò mai il sapore della prima albicocca. ecco, aver scoperto che mi piacessero le albicocche mi ha cambiato la vita. fino a quel giorno credevo di aver provato ormai tutto; da bambino era confortante ed un modo per sentirsi grandi quello di pensare d'aver giá conosciuto tutto il conoscibile. a quanto pare non avevo fatto i conti con le albicocche però.
incontrare le albicocche è stato illuminante, sconvolgente, extrasensoriale; è stata una tale scoperta che per svariato tempo a venire ho poi continuato ad assaggiare qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. andavo assaggiando cortecce, fili d'erba, grani di polvere, zollette di terra o piccoli animaletti con la speranza d'aver di nuovo una sorpresa del genere; una scoperta all'altezza delle albicocche. la novità del gusto di quelle morbidose nacchere arancioni quella volta mi ha proprio spiazzato, non ci potevo credere, ancor oggi non posso credere d'esser stato cosí ottusamente convinto che non ci sarebbe stato piú nulla da scoprire, e invece. e invece ti alzi un giorno ed esistono le albicocche, roba da non credere.
dentro, sotto questa parvenza da bravo ragazzo, sono egoista, egoista e pure un po' stronzo perchè se al mondo esistesse una sola albicocca dubito che nemmeno dio in persona potrebbe mai convincermi a fare a metà.
guarda, guarda quella com'è conciata, le si vede tutto. troppo provocante, sembra in battuta di caccia. come se, poi alla fine, a un ragazzo potrebbe mai piacere una cosí, una da una botta e via. voi fate tanto i machi ma se alla fine poteste scegliere, son sicura, guarda proprio sicura che con una cosí non vorreste averci nulla a che fare; rischiereste di passare come quelli che vanno con le poco di buono. dai, guarda la trasparenza del vestito: ha tutto l'intimo in vista. se provassi io ad uscire di casa vestita in quel modo te lo dico io cosa mi direbbero i miei. poi che figure.. esagerata, davvero esagerata, non avevo mai visto niente del genere.
-nemmeno io. com'è che si chiama ?

N3rd 4ever

ultimamente invoco la tecnologia, bramo codici, combinazioni di tasti per rendere un po' più sbrigative le faccende. ultimamente mi capita di sorprendermi mentre sulla tastiera, senza nemmeno accorgermene, tento il ctrl+z, annulla, annulla l'operazione - mi dico fustrato e pentito.
da giovane preadolescente avevo giá una immagine abbastanza distorta della realtá; la colpa è sempre stata dei videogiochi. a quei tempi la tecnologia non era ai livelli di oggi e con un po' di pratica riusciva possibile, in pochi semplici passi, trovare codici, trucchi e segreti che ti permettessero di finire in poche ore anche la più difficile e complessa campagna di conquista ad age of empire, mitico videogioco strategico della microsoft. a quei tempi la sfida era sul personale, tu e il pc, tu contro il sistema, tu contro le regole che avrebbero voluto che per finire un videogioco, così da sentirti realizzato nella tua bacata etá dei brufoli, avresti dovuto donarti anima e corpo alle indaffarate facende di preistorici omini virtuali. ecco allora che il genio italico si acuìva, che la catàlisi ormonale mieteva successi. in pochi minuti un qualsiasi enfant prodige, come eravamo noi tutti, era in grado di trovare la scorciatoia. in poche semplici sequenze di tasti la campagna era vinta, i vichinghi sconfitti e la puberale convinzione nella tua onnipotenza confermata ancora una volta.
col passare del tempo l'abitudine a questi magici poteri dell'età moderna, queste divine opportunitá di piegare le circostanze alla nostra volontá ci sono state cementate fin nel midollo. ora bramo esc, tasti esc per sottrarmi alle noiose circostanze di questa piatta vita al di fuori del silicio; anelo copia incolla per evitare la routine e sogno combinazioni di tasti per uscire dal traffico. oramai siamo cosí integralmente pervasi da una sensazione di potere l'impossibile che non opponiamo più alcun filtro alle nostre azioni, dando per scontato che a tutto esista rimedio, che tutto sia cosí predestinatamente superficiale da essere per forza trascurabile.
ci si è arresi alla leggerezza al punto che necessitiamo di materia, di un àncora tangibile cui aggrapparci per poter ancor sperare d'esistere davvero. ci servono cose, cose concrete per sentirci vivi fuori da qui, da questa coscienza collettiva in cui l'individuo s'è sciolto, in cui l'originalitá è in vendita, in cui al re nudo che non desta nemmeno più scalpore abbiamo sostituito il nostro stesso avatar da cui non riusciamo più a distinguerci, il fantasma di ció che eravamo soffocato da vestiti troppo pesanti perchè riesca ancora a respirare. alt+f4


come la coscienza. una guida, un non so che; un certo fiacco richiamo all'ordine, un live motif che fà da colonna sonora e mi dirige. un appiglio, un aggancio, una tensione a qualcosa di buono fuori da me.
pensandoci sei proprio così.

Gli onori di casa

è facile entrare nel mondo altrui, quello di cui non ne sai ancora niente ma già t'intriga, quello che non conosci affatto e forse solo per questo già lo preferisci al tuo, quello vecchio, quello scontato, quello che non ti merita più. è molto più facile entrare nella vita di qualcun'altro piuttosto che aprire la propria alla permanenza del prossimo, foss'anche la persona con cui si è certi, ci si spera, ci si è convinti, ci si passerà il resto del proprio futuro eterno nei secoli dei secoli.
siamo fatti di eventi, di persone amiche, conosciute ed odiate che ci girano intorno; siamo fatti di posti, ricordi, braccialetti e collanine; siamo fatti di ciò che abbiamo vissuto e ben venga la fuga d'amore, e ben vengano le favole itineranti alla ricerca di una nuova avventura, ma per la sincerità, quella vera, bisogna anche saper fare gli onori di casa.
benvenuta, io abito qui.

Lo so già

si, poi finisce come quella volta che piangevi ed io son venuto lì a consolarti. non ti conoscevo ancora ma semplicemente mi sembrava brutto lasciarti su quel muretto da sola a piangere. mi ricordo che pensai subito che dovevi avere all'incirca la mia stessa età quindi per quanto potessi aver avuto tempo di combinare qualcosa di tremendo nella tua breve esistenza, non sarebbe certo stato nulla di irreparabile.
se poi adesso mi chiami e vengo lì da te a darti una mano, non sarà molto modesto da dire, ma poi finisce come quella volta là che piangevi; finisce che vengo lì con l'intento di consolarti e ci riesco pure. poi lo so già tu come fai quando sei felice, perchè tutti quelli che ti conoscono ce l'hanno bene in mente come fai quando sei felice. tu quando stai bene sei contagiosa, con quella voglia di vivere che potrebbe rischiarare una giornata di pioggia o addirittura l'umore nero di un becchino intristito.
sarà che non abbiamo mai avuto bisogno di dirci nulla di più del necessario quindi se qualcosa non va stavolta basta un fischio; io prometto di fare il mio dovere di consolatore e tu, ti prego, non incrociare i miei occhi una volta che sarà tutto passato, altrimenti lo sappiamo già tutti e due come finisce. no ?
io alla filosofia matematica dal punto di vista teoretico, son sincero, non ci avevo mai pensato. credo nessuno che abbia qualcosa da fare si sia mai potuto scervellare su alcunché di simile. io credo che lui, il genio delle risorse umane, credo che nemmeno lo sapesse che diamine di risposta volesse sentirsi argomentare.

Dipingo

ho la casa piena di quadri ma non sapevo d'essere diventato un pittore. è sempre così, l'ultima ruota del carro, l'ultimo a sapere le cose. ultimamente dipingo ma non lo faccio con cattiveria, lo faccio innocentemente pennello in mano, senza pensarci su troppo.
ho fatti finiti lucidati quindici quadri in un mese, un quadro ogni due giorni; il tempo di far asciugare la pittura e dare una mano di trasparente. ritraggo persone, paesaggi, marchi delle sigarette in stile andy warhol. ho dipinto un gatto, è stato il mio primo soggetto, così, mi è venuto naturale.
la maggior parte sono copie, copie di fotografie che non potevo stampare in grande quanto avrei voluto e allora le ho dipinte. il problema è che a quelle fotografie ora i miei quadri non c'assomigliano per niente, ma la gente li guarda, ci vede un pavone e mi fa i complimenti.
perchè davvero dipingo ? perchè i pittori me li sono sempre immaginati sulla riva di un fiume, con un barattolo di nutella in mano a fare body painting su un'amazzone rinvenuta per l'occasione svenuta sulla spiaggia.

Grigliata

i miei vicini hanno un giardino con un gazebo ed ogni tanto, la domenica in estate, ci invitano a fare una grigliata. i miei vicini hanno un bambino di due anni, settecentotrentagiorni di pianti isterici e di notti insonni per l'intero quartiere.
gli stessi vicini, nel giardino, oltre al gazebo, ci tengono un cane, un bellissimo labrador color arachidi.
domenica ero da loro, per una delle classiche grigliate estive con loro due, i miei, l'essere bavoso ed il loro cane.

Gente diversa

so di persone che piangono molto e so di altre che non lo direbbero mai, non fosse altro per orgoglio. conosco gente che quando è da sola gli piace parlare, perché il silenzio lo sopportano a malapena, perché la solitudine per loro è la cosa più spaventosa ch'esista. so di altri che abitano in montagna invece, lì nel silenzio, nella pace; non lo cambierebbero per tutte le comodità cittadine del mondo. ho incontrato un atleta, un corridore su una strada verso il deserto, con solo una borraccia legata alla vita, come se la sola cosa che gli importasse fosse sentirsi più forte della fatica; non c'erano limiti per lui, glielo si poteva leggere negli occhi.
c'è così tanta diversità a sto mondo che quasi dispiace non saper cambiare davvero, non sapersi adattare fino in fondo, non riuscire a fare quell'ultimo sforzo per evitare che qualcuno possa non soffrire mai per ogni tuo difetto. innamorarsi in fondo è anche un po' sentirsi in colpa per questo.

Gli sms

penso che non ci sia nulla di più pericoloso di un messaggino scritto di fretta. credo che gli sms siano il tentativo riuscito di intromissione del caso. mi spiego. il fato, l'indecifrabile, dio, il diavolo, la fatina delle speranze o l'elfo della curiosità, cioè insomma il caso o in qualunque modo voi vogliate appellarvi ad esso, credo che un giorno si sia detto tra sé che questa nostra realtà era troppo chiara e semplice per i suoi gusti, pertanto creò gli sms. quegli aborti di lettere mai scritte, quei vaghi tentativi d'esprimersi col contagocce, quegli inutili sommari d'idee confuse, credo siano stati introdotti nel nostro mondo al solo scopo di sconquassare il tutto.
i messaggini sono fraintendibili, travisabili, ambigui, molesti. i messaggini sono del tutto ignari di cosa sia la reale praticità della comunicazione. noi crediamo che con cento-centoventi caratteri il destinatario possa al più limitarsi a comprendere l'indispensabile. la realtà vuole che suddetto soggetto ricevente legga il papellino informativo rivestendolo di tutta la propria personalissima accentuazione, contestualizzandolo per di più in una realtà che non è detto combaci con quella dell'emittente, infatti non lo fa. il più delle volte capita che un solo messaggio male interpretato comporti una serie sconfinata di castelli mentali fondati su una malsana interpretazione che di gran lunga più modesto sarebbe stato il costo di una chiamata chiarificatrice o dell'astensione completa dall'emettere informazioni ad altro essere pensante.
i messaggini sono pericolosi, tanto più pericolosi quanto più complessi siano noi, quanto più siamo diversi, e quanto più siamo già di per noi stessi propensi a creare trambusto.
gli umani si incasinano la vita all'inverosimile e periranno anche a causa dei messaggini. il t-nove è lo sfottò in chiusura.
c'è sempre chi spera di leggersi in uno scritto, sempre qualcuno che sotto quella sincera vena di timidezza vorrebbe ritrovarsi specchiato in un racconto scritto a dovere. so di persone che ambirebbero con tutta la propria volontà a vedersi trascinate da poche righe scritte di fretta; altre che tremano alla possibilità che qualche parola tagliente le sfiori. ma non ci saranno sentenze dove sono le lettere ad autogestirsi, nessun giudizio dove a stupirsi è lo scrittore per primo. le favole non possono finire, nemmeno con tutta la nostra più ostinata paura.

La nonna

non so come mai ma le nonne son fatte così, le nonne lavano, lavano a prescindere, e lavano a mano, questa è la cosa peggiore. le nonne, parlo nel complesso delle mie esperienze s'intenda, le nonne sono una categoria di bonarie persone propense al lavaggio manuale degli indumenti; sono le uniche figure di questa società centrifughista a predilegere ancora le buone e sane abitudini lubrificate ad olio di gomito.
la nonna, l'ho notato una domenica pomeriggio di inizio dicembre, una di quelle domeniche prenatalizie un po' uggiose in cui masochisticamente ci si ripara presso un centro commerciale, la nonna, dicevo, quando arriva nei pressi della zona elettrodomestici, s'irrigidisce tutta. dal canto suo la comprendo benissimo, teme la competizione del moderno, di quella macchina lava vestiti che non fa complimenti quando si trova davanti ad un pregiato maglioncino di cachemire. lei invece, quando le capita di dover affrontare il mio delicatissimo dolcevita azzurro, si rimbocca le maniche; lo sciacqua dolcemente sotto l'acqua tiepida, per domarlo lo scaraventa sul lavabo in marmo, poi estrae la spugna delle grandi occasioni (quella con dentro le pagliuzze di acciaio inox) e via di dolci carezze per una mezzoretta, giusto quel tanto per fargli capire chi è che comanda.
la nonna ha lavato coperte di lana spesse come tappeti, tappeti di seta delicati come mutandine della prima comunione e gatti scambiati per cuscini imbottiti.
la nonna lava e non si ferma più, sul serio, è da ieri mattina che va avanti.

Eutanasia

mi hanno detto che deve morire, me l'hanno detto così, come se accettarlo fosse semplice per tutti, ignorando completamente lo sconvolgimento che stavano suscitando in me. mi hanno detto che il suo momento era giunto, che se ne doveva andare, che avrei dovuto dirgli addio.
in un giorno qualunque di un freddo gennaio, loro, come aguzzini gaudenti del proprio compito, hanno sancito un termine per l'ineluttabile sua fine ed entro una settimana, ora è deciso, lui morirà. uno dei miei compagni più fedeli, uno dei più stimati conoscitori dei miei reconditi gusti se ne andrà, se ne andrà freddato da un'iniezione fatale. mi vogliono devitalizzare il penultimo molare destro ed io non so più come fare.

Cane

scodinzolo, scodinzolo. è sera, il padrone dorme come sempre sul divano. mi accuccio, zampa posteriore destra a grattare la testa, dietro l'orecchia A. fame: il padrone dovrebbe accorgersi che la ciotola è vuota. padrone, padrone, chiamo leccandogli le dita che pendono dal divano. odo, rumori, rumori animaleschi provenire da fuori la porta. olfatto: nulla di pervenuto. l'orecchia B, indipendente, ruota e cerca di carpire meglio la fonte. rumori molesti nel mio territorio: impossibile transigere. mi dirigo all'ingresso dell'abitazione e con la zampa alfa abbasso la maniglia procedendo oltre. piccoli escrementi a spregio della mia autorità campeggiano in fondo al vialetto. questa è una sfida, ti prenderò. le quattro zampe rinvigorite dall'adrenalina mi proiettano, ruspante per mancanza d'attrito, sul luogo del sacrilego avvertimento. in pochi istanti raggiungo la parte nord della mia giurisdizione. acquisisco informazioni sulla preda, elaboro. parte l'inseguimento. in trentanove secondi sono ai bordi della tana nemica: una piastrella la rende inaccessibile all'aggancio dentale. l'intelligenza canina si acuisce, s'esalta, rielabora la strategia. elabora, elabora: idea. rovescio il bidone della spazzatura davanti alla tana. mi nascondo, attendo. lo sprovveduto, famelico affamato usurpatore territoriale esce e si dirige ignaro al pranzo strategicamente offertogli. l'assalto veloce sbarrandogli l'entrata del nascondiglio: unica sua fonte di salvezza. attacco fulmineo: la zampa beta bracca e il morso dentale immobilizza alla collottola il biancofelino, piumino candido, malefico fuffy. con in bocca l'orribile fiera giocagomitoliamorosa mi dirigo verso il campo base, quando. percepisco improvvisamente un minacciosa presenza alle spalle. la priorità passa al nuovo nemico e sgancio dalla morsa invincibile il malconcio avversario rantolante. mi volto ma nulla, nessuno in vista eppure continuo a percepire il pericolo. mi volto di nuovo, ancora, sempre più veloce senza sosta. la determinazione coglie i suoi frutti e intravedo la minaccia, giro, giro, giro su me stesso. azzanno, forte, determinato. dolore, atroce sofferenza sul campo da battaglia. coda.

Cuore

se ti capita d'essere in prima fila ed un attore sul palco, a due metri da te, sta piangendo, c'è rischio di commuoversi, se non altro per empatia. quando un attore od un'attrice piangono finisce che un po' ci credi. succede sempre, anche se ti sforzi di tenere a mente che tutto sia orchestrato a dovere, che tutto sia una farsa, che in realtà quelle lacrime contino di meno perché sono versate per gioco o per lavoro. mettiti nei panni del cuore dell'attrice però, al posto del suo tenero cuoricino indifeso. se ti capitasse d'essere in prima fila, mentre un'attrice piangesse all'improvviso, prova a pensare al suo cuoricino spaurito, colto all'improvviso da quella forzata esternazione pubblica; ne sentiresti lo scricchiolio, credo. pensa addirittura al caso in cui lei, l'attrice, fosse sensibile, molto sensibile, ambientalista, animalista, vegetariana persino. pensa cosa ne direbbe il suo cuore di quel pianto improvviso, di quel pianto a lacrime calde, riversato davanti a tutta quella gente; pensa che colpo al cuore che avrebbe il suo cuore, pensando che lei sta piangendo per un motivo a lui sconosciuto.
la mia vita la voglio scritta su una pergamena, con i ghirigori barocchi, con le impronte d'inchiostro perché non so aspettare che asciughi. la mia vita la voglio come una gigantesca doccia calda, una di quelle che bruciano, che ti ci devi abituare. voglio, vorrei, desidero, avrò, giorni fangosi, brevi, fotogenici, stancanti, rock. aspetterò le mattine fredde di nebbia, il pomeriggio bagnato di pioggia e la sera sporca di fuliggine per essere inaspettatamente ed artisticamente appagato.
voglio una vita viola, si-bemolle, vagamente retorica e d’apparenza patetica; una di quelle piene di tutto, forse un po' kitsch; una di quelle che assomigliano al primo cassetto della scrivania, quello dove finisce ogni cosa che un posto non ce l'ha.
voglio avere una vita in cui sentirmi in colpa se non sarò felice; e quando finirà, nel bel mezzo del tutto, avere ancora le dita sporche di marmellata alla pesca.
una vita sola non potrà mai bastare

Natale

oggi é natale, piove. il cielo é lo stesso di ieri, nuvolo, grigio, non troppo invernale, più che altro autunnale, per nulla diverso. oggi é natale e nessuno pare essersi accorto che niente é cambiato, nessuno é più buono né tantomeno più vero del solito. a natale si va a messa in nome d' una fede conosciuta per caso sui banchi di scuola, professata a singhiozzo coi vestiti nuovi e spesso spacciata come unica via di salvezza.
la cosa vera è che natale non è un momento a sé stante ma un giorno della settimana come i sei che lo precedono, come i mille che seguiranno. se il venticinque dicembre si esplode di felicità il merito è di un anno intero, vissuto ad ogni giro d'orologio, sofferto in ogni più piccola conquista e celebrato a dovere sotto un albero addobbato. in alternativa è l'occasione di ricominciare da capo, e la voglia non può mancare, e la forza non tarderà a ritornare. è natale, non può finire domani, non potrà più scappare.

Al pronto soccorso

i pronto soccorso sono posti particolari, sono check point, punti di controllo attraverso cui si prendono le misure alle proprie possibilità. in queste avanguardie mediche della porta accanto si soppesano le conseguenze concrete dei rischi cui ci si espone senza troppo pensarci le volte in cui si é in preda ad insane propensioni avventurose, ad infondate convinzioni d'onnipotenza alla guida dei mezzi d'autotrasporto e a spregiudicati abusi di cibi esotici. altre volte succede che un passaggio per questi purgatori corporali sia necessario per il solo fatto d'essere in realtà naturalmente cagionevoli per costituzione. in questi casi la probabile motivazione d'esserci saltuariamente costretti é quella di ricordarci che, senza l'ausilio del progresso medico, se darwin avesse veramente ragione, noi ci saremmo esistinti da un pezzo e per di piú a mezzo di microrganismi della piú infima statura. personalmente sono comunque persuaso che i pronto soccorso siano tuttavia adibiti a far sentire fortunato chiunque riesca ad uscirne vivo, a profondere sofferte dosi di meritato trionfalismo, a far assaporare il gusto della rivincita su madre natura in una specie di contro nemesi di raffinato prestigio. insomma, forse il sistema, con i suoi buoni propositi autoregolamentanti, non ha raggiunto esattamente il proprio obiettivo ma di certo ne apprezzo, umilmente, il tenero sforzo.

Cucina creativa

sa, non dovrei, ma solo perché ha una faccia così simpatica le confiderò un segreto. senza nulla togliere alle sue abilissime doti culinarie per carità, dico solo che se prende un etto di terra affumicata ed un chilo di scartabolle ne vien fuori un tramagno coi fiocchi. se poi considera che un tramagno nostrano, purchè sia fatto ad arte s'intende, da nessuna parte lo pagherà meno mille stelline, in pratica, senza troppo sforzo, al netto del prezzo degli ingredienti le ne viene un risparmio di seicentocinquanta. poi guardi, lei è così fortunata che oggi le posso proporre anche un litro di aqua struzza alla metà del prezzo, così prende proprio due piccioni con una fava e senza spendere una fortuna potrà guarnire tutti piatti natalizi con quel tocco di sciccheria che non guasta mai.
allora signora, siamo già a sei chili di scartabolle, che faccio, lascio ?

Nevica

ascolta, nevica. imprigionane il profumo di fresco che pervade ogni cosa; che intride gli alberi di brina bianca portata dal vento. assaporane il gusto di semplice acqua senza pretese; è la stessa che ammiravi cristallina in un mare azzurro e salato mentre ti aiutava a dorarti in agosto. per raggiungerti fin qui ha pagato piangendo via il sale sulle guance d'autunno. si è guadagnata l'indulgente ascesa beata e candida ed ora trionfa in un agognato salto che vale la sua vita intera. ammirala mentre si posa senza disturbo sui pini irti addobbati a festa. onorala di un saluto con le mani nude porte verso un orgoglioso cielo grigio che fa propria ogni cosa. lo senti ? è l'effetto del bianco che ti fa sorridere dentro e ripara i difetti del mondo. lo senti ? è il potere del freddo che fotografa i freschi pensieri altrimenti evanescenti. lo senti ? è il peso leggero di una sottana materna che ti concede di tornare bambino. sorridi, nevica, e te lo sta dedicando.

L'asciugamano

è appena successa una cosa orribile, una cosa gravissima e già lo so che non appena la confesserò, se mai qualcuno leggesse ciò che sto per dire, rischierebbe di farsi una strana idea dello scrittore, che poi sarei io. è successo che sto per partire e come al solito quando sto per partire mi preparo, e forse fin qui nemmeno il lettore più arguto potrebbe rintracciare la benché minima anomalia. è successo che mentre preparavo la valigia, la valigetta, il bagaglio insomma, ad un certo punto, sul finire di quell'atto sacrale che ti fa capire che tutto ciò di cui avrai bisogno per un'intera settimana dovrà star dentro quella piccola tomba di comodità, sul finire mancava solo l'asciugamano. ora necessiterebbe un intero racconto per quel solo asciugamano giallo, giallino sbiadito ormai, ma vedrò bene di stringere il più possibile chè la signoria vostra che si degna di leggere non si annoi. quell'asciugamano colore di pesca è venuto ovunque io sia andato da quando ho facoltà di prendere e partire; quell'asciugamano così teneramente contenuto che non riesci nemmeno ad avvolgertelo intorno alla vita, mi ha seguito ovunque. io avevo un rapporto speciale con quel cimelio cotoniero d'anteguerra, con quel baluardo d'asciutta compagnia post-abluzioni, e come nei migliori amori pensavo a lui come al solo che avrebbe mai potuto consolare i pianti d'una doccia in terra straniera. a quanto pare mi sbagliavo. aperto l'armadietto del bagno, l'armadietto degli asciugamani, vagando con la vista alla ricerca spasmodica ed illusa dell' inimitabile e agognato sofficione itinerante, scopro che mi ha sempre mentito, tutto il mondo mi ha sempre mentito a riguardo. nell'armadietto ci sono, giacciono, ben tre asciugamani identici, tutti giallocacca, tutti biancosporcogiallorigurgito, tutti beffardamente, vistosamente gaudenti del mio amore infranto dalla loro somigliante promiscuità adultera.

Rane

le rane sono verdi, gracidano, saltano e stanno in stagni. questo è tutto quello che comunemente si ricorda circa le rane. le rane sono femmine e i ranocchi sono maschi. i rospi assomigliano alle rane ma non sono rane, se lo fossero non avrebbero un nome diverso. le rane e i ranocchi amano i posti umidi e quando piove per loro è come se ci fosse il sole e piangere per loro è come ridere. quei piccoli bignè verdi adorano ninfee e fiori di loto, poi, che non lo sappia nessuno, mi hanno confessato d'avere un debole per i girasoli. a loro piace saltare, nascondersi dietro le foglie di fico e prendere il sole sommerse da un velo d'acqua, lasciando fuori solamente gli occhi. se baci un ranocchio diventerà un principe; baciare una rana è una cosa molto tenera ma l'unico effetto che sortirà sarà di farla arrossire. le rane mangiano moscerini e libellule, disdegnano ragni e scarabei ed ucciderebbero per un cucchiaino di nutella. alle rane stanno simpatici scoiattoli e tartarughe, s'alleano coi camaleonti per catturare zanzare e la notte s'accordano a grilli e cicale per cantare l'inno del bosco. le rane, nel mondo delle rane, hanno un castello; è grandissimo, è una reggia regale, reale solo in quel mondo ch'è scritto fra le pagine d'un libro ed ogni volta che qualcuno legge quella favola cento rane e cento ranocchi si materializzano nella realtà. le rane hanno la erre moscia ma questo nessuno lo sa.

Libertà

ho fatto i conti con le tue regole che non mi lasciavano vivere ed ora sono libero, libero come chi non ha più la propria coscienza. metto a tacere le voci che mi consigliano che strada prendere e compio ogni scelta senza preoccuparmi di cosa comporti. vivo al limite di ogni possibilità, vivo in vite che non sono le mie. ho divelto il presente dal corso del tempo cosicché non comunichi col passato, cosicché non gli importi del futuro. scrivendo ho pianto, sorridendo ho taciuto. il giorno in cui dovevo esser forte lo sono stato, il giorno in cui avrei dovuto fermarmi ho accelerato.

ho provato la libertà unica e senza limiti, ed ora sono qui tra le tue braccia che non mi lasciano andare. i miei capelli al vento sono schiacciati sul tuo cuscino, i miei pensieri ti girano attorno, i nostri sogni costellano questa nuova realtà. forgio le mie scelte in base a desideri che non pensavo d'avere; cercando il filo della mia volontà mi perdo ai confini d'un tuo sorriso. vivo un presente ancorato al futuro ed il passato è stato solo una lunga attesa. scrivendo ti ho fatta piangere, sorridendo mi hai placato ogni timore. non vacillerò per un solo istante, non arretrerò di un solo passo.
disegnavo gabbie sui miei fogli bianchi e nel tuo soffocarmi ora sono felice.

La verità sincera

ti ho sognato stanotte. te lo dico perché quando si sogna si è obbligatoriamente sinceri, inesorabilmente trasparenti, forzatamente noi stessi. può capitare che si impegnino anni interi per costruirsi un'immagine di se che si possa reputare adeguata, in equilibrio col mondo, semplice ma efficace, resistente alle apparenze, apparentemente coerente e determinata. può capitare che tutto sia andato bene fino a quel punto, tutto come previsto, ogni cosa in ordine, ogni eccesso placato, ogni istinto purificato da propositi socialmente ben accetti. succede a volte che la strada giusta, quella sempre dritta senza troppi ostacoli, quella su cui tutti, a detta dei medesimi, primo o poi si redimeranno, succede di svegliarsi e capire che una strada del genere, per quanto bella (bellissima per carità), lodevole (ci mancherebbe) e ineccepibilmente equilibrata, purtroppo (e dico purtroppo senza sottolineare la smorfia sarcastica) purtroppo non ha passato il vaglio dei sogni, l'inappellabile ultimo giudizio di adeguatezza a noi stessi. quando arrivano quelle volte lì ci si sente persi, come senza bussola, come in balia delle semplici, oneste, innate propensioni a seguire tutto ciò che, anche senza fondate ed articolate ragioni, possa condurci alla felicità dei sogni, quella da cui, anche se forse un giorno bisognerà staccarsi e farsi male quanto basta, non si può prescindere a pena di sentirsi estranei in fronte alla nostra stessa coscienza.

Vengo con te

tutt'attorno a noi c'era la sabbia, sabbia e sabbia soltanto. lui viveva in mezzo a quel mare rovente ai confini del nostro benessere, al limitare ultimo di quella che chiamiamo civiltà. in un posto così non dovresti trovarci nessuno, di certo non un bambino, eppure lui ci era nato, ci stava crescendo come se fosse la cosa più naturale del mondo. grazie per la vostra visita - soleva ripetere ai turisti che tornavano sulla strada di casa, quella che dall'orizzonte si perde e scompare. sembrava dirlo senza pensarci e solo qualche rara volta buttava lo sguardo a quel sentiero battuto dalle jeep che chissà dove li avrebbe portati. è lontana casa tua? - mi chiese con il sorriso spaventato di chi teme la risposta. abito oltre quelle dune ed un giorno qui ci tornerò e poi se vorrai potrai venire via con me - . lui non mi guardava negli occhi, sembrava sbirciarmi in quell'angolino in cui riposa la verità e sembrava aver già messo in conto che io, lì, non ci sarei mai più tornato. non fare così ti prego, non posso portarti via con me, non so che badare a malapena a me stesso - avrei voluto rispondere invece di abbassare lo sguardo - cosa vuoi che ne sappia io del deserto, delle notti che ci sono qui, di che effetto faccia sentire storie che vengono da lontano e non poter scappare con loro ? però non capiva, non capiva perchè ai bordi delle dune ci era cresciuto per otto anni dove otto anni pesano come una vita intera, e se in quei posti ad uno come me il giorno brucia la pelle e la notte gela il sangue, per lui quella casa apparentemente tanto vuota era tutto ciò di cui aveva bisogno. mi fai una foto ? - mi chiese tranquillamente mentre accettava le caramelle che gli porgevo. scattai e poi gliela mostrai. ora, sai, io viaggerò ovunque tu andrai - .

Addio

la nostra è stata solo una parentesi, non pensare che io ci stia ancora così male, non preoccuparti per me. la nostra è stata una storia tra le tante di un mondo intero, una storia vissuta al limite, vissuta finché ci pareva fosse giusto farlo. la nostra è stata la follia di due ragazzi che non si sono mai posti troppi perché, due ragazzi che sapevano bene cosa gli avrebbe attesi. la nostra, lo sai bene, è stata una storia da vivere nel suo presente ed ogni singolo giorno di quel tempo è stato il capolavoro che nessuno dei due avrebbe mai pensato di poter realizzare, lo riconosco. ogni singolo istante di quel lontano passato sembrava avere la forma dell'eterno, la consistenza densa di un sogno che non potevamo credere vero. poi un giorno arrivò la realtà, e lo sai che con lei non ci potevamo fare niente. il giorno in cui quel nostro pezzetto di paradiso se ne andò fu un vero colpo al cuore; quanto si pianse quel giorno, quanto. oggi, mentre mi fissi negli occhi, tu sei il più bel ricordo che mi sia mai capitato di avere, un pezzo di quella mia esistenza, di quel mio passato, che farà per sempre parte della mia memoria. ma adesso non mi chiedere nulla, non ti risponderò. non cercare niente nelle mie parole reticenti, ti mentirò. due come noi non hanno bisogno che di guardarsi negli occhi e di fingere un addio, un addio che profuma d'amore.